PROFILO BIOGRAFICO*

a  cura di  P. Fabio Longo

precedente successivo

 CONTESTO STORICO

NELLA PRIMA METÀ DEL XX SECOLO

 


L’arco di vita di Riccardo Claudio Granzotto inizia il 23 agosto 1900, anno giubilare. Si chiude il 15 agosto 1947. Va, perciò, dagli ultimi tre anni del lungo pontificato di Le­one XIII (1878-1903) ai primi otto anni del pontificato di Pio XII (1939-1956). Pontificati intervallati da quello di san Pio X (1903-1914), di Benedetto XV (1914-1922), di Pio XI (1922-1939).

Periodo breve, ma di rapidi grandi progressi tecnico-scien­tifici, di radicali sconvolgimenti politico-socio-economici e di forti flussi migratori soprattutto in direzione oltreoceano, di titanici scontri tra democrazie e regimi totalitari nazifascisti e comunisti, tutti poi crollati. Due devastanti guerre mondiali (1914-1918; 1939-1945) con decine di milioni di morti e, or­mai prossima la fine della seconda guerra mondiale, la tragica esplosione atomica nordamericana sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, avvio all’angosciosa spirale del terrore nucleare.

Guerre mondiali intercalate, negativamente, dalla sangui­nosa guerra civile spagnola (1936-1939), che coinvolse le forze­ armate di altre nazioni, compresa l’Italia; positivamente, dalla nascita dell’azione cattolica dovuta alla sollecitudine di Pio XI, dall’introduzione (1925) della festa di Cristo re, dal giubileo della redenzione (1933-1934): «Cristo deve regnare» e, a Torino, dall’esposizione della sindone che ispirerà alcune scultu­re di fra Claudio Granzotto, prima fra tutte, per valore arti­stico, il Cristo morto (1939), nella chiesa di S. Francesco a Vittorio Veneto, sotto l’altare dell’Addolorata.

In questa prima metà del secolo XX, tuttavia, dobbiamo registrare anche altri due avvenimenti che incisero profonda­mente nella cultura e nella religiosità della gente: la fondazio­ne della Università cattolica del sacro Cuore a Milano e, in piena guerra mondiale, le apparizioni mariane a Fatima, con­siderate «il fatto religioso più importante di questo principio di secolo» (L’Osservatore Romano, 3 giugno 1928). I vari messaggi comunicati dalla Madonna ai tre fanciulli veggenti Lucia, Francesco e Giacinta, influenzeranno la vita etico-reli­giosa di moltissime persone, compreso il nostro Granzotto.

L’Università cattolica di Milano fu voluta tenacemente dal francescano p. Agostino Gemelli, per realizzare l’ideale della libertà della scuola anche nel campo dell’alta cultura. Fu inau­gurata dall’arcivescovo di Milano card. Achille Ratti (eletto papa con il nome di Pio XI il 6 febbraio 1922) il 7 dicembre 1921; ottenne il riconoscimento giuridico dallo Stato italiano tre anni dopo, il 2 ottobre 1924.

Straordinario, fin dagli inizi, fu il suo influsso nella forma­zione umanistico-filosofico-giuridico-etica di moltissimi giovani che a loro volta influenzeranno beneficamente la vita socio-politico-culturale e religiosa d’Italia.

Accanto all’impegno per gli studi, come documenta il ra­pido moltiplicarsi delle riviste proprie della Cattolica, ci fu quello religioso imperniato sul sacro Cuore , l’opera della re­galità di N. S. Gesù Cristo (1929-1930), alla quale si iscrisse anche Riccardo Granzotto che, come socio adoratore, si im­pegnerà alla pratica dell’adorazione notturna in famiglia.

Ed è proprio nell’ambito di queste iniziative che, fin dalla sua fondazione, l’Università cattolica, attraverso la propria edi­trice « Vita e pensiero » diffonderà, con la devozione al sacro Cuore, le opere del p. Matteo Crawley-Boevey, che suggeri­ranno a fra Claudio atteggiamenti di vita, ispirazioni d’arte ed espressioni ricorrenti nei suoi scritti, tutti riconducibili alla necessità della preghiera, della riparazione, della penitenza, proprio come richiesto dalla Madonna ai tre veggenti di Fati­ma (1917) e prima ancora a Bernardetta Soubirous durante le apparizioni a Lourdes: 11 febbraio - 16 luglio 1858.

 



1.    INFANZIA

 

Riccardo Granzotto  nasce il 23 agosto 1900 a S. Lucia di Piave (Treviso), diocesi di Vittorio Veneto, da Antonio, di anni 55, « canapino » presso la ditta « Vettori » di S. Lucia, e da Giovanna Scottà, casalinga, alle ore 23.30, nella casa in via Granza, n° 143. Gli viene dato il nome di Riccardo Vittorio. Battezzato il 2 settembre successivo, nella chiesa parroc­chiale di S. Lucia di Piave dall’arciprete don Bartolo Mazzer, madrina Anna Zardetto, moglie di Lorenzo Granzotto, viene cresimato a S. Lucia di Piave il 29 settembre 1907 da mons. Antonio Caron, vescovo di Vittorio Veneto, padrino il fratello maggiore Granzotto Giovanni.

Dal 1907 al 1909 Riccardo frequenta le prime due classi elementari, la prima con la maestra Pia Vasilicò, la seconda con Emma Cipriani in Perin. Sebbene fosse intellettualmente «molto dotato, di intelligenza riflessiva, di memoria molto spiccata», ripeterà la seconda elementare (1909-1910), con la stessa maestra Emma Cipriani, « forse perché non capito, for­se per la sua timidezza ».

Il 4 gennaio 1910, all’ospedale di Conegliano, muore il padre Antonio, a 63 anni.

Il 2 ottobre 1910 Riccardo riceve dalle mani di mons. Morando la prima Comunione. Inizia a frequentare la terza elementare ma, per le nuove situazioni venutesi a creare in famiglia dopo la morte del padre, abbandona la scuola e la­vora da calzolaio, poi da falegname e infine come muratore presso il fratello Giovanni, che era riuscito a costituire una piccola impresa edile, che costruirà anche il campanile della parrocchia di S. Lucia. Frequenta con assiduità il circolo di azione cattolica. Periodo di vita, questo, incisivamente presentato da Gio­vanni Paolo II durante il discorso per la beatificazione e al­l’Angelus: « Ricevette la prima educazione in una famiglia po­vera, duramente provata ma ricca di fede [...], imparò in fa­miglia il timore di Dio, la sincera pratica della vita cristiana, la generosa solidarietà, la disponibilità al sacrificio e l’amore al duro lavoro [...], si preparò così nel migliore dei modi a seguire il cammino di perfezione nella più grande famiglia del Poverello di Assisi».

 

 

2.    VITA MILITARE

 

Nel pomeriggio del 1° novembre 1917, a causa della riti­rata di Caporetto, sotto la pressione degli austro-ungarici Ric­cardo con il fratello Antonio e un’altra trentina di giovanissi­mi, per il bando Cadorna, deve abbandonare il paese. Si ritrova con i mobilitati di altri paesi a Treviso, nella chiesa di san Nicolò, dove vengono divisi in squadre di sessantanove persone ognuna.

Costruiscono piazzole per mitragliatrici, scavano trincee a Lancenigo, Carbonara, Musestre, Isola Vicentina, S. Tornio di Malo e Creazzo nei dintorni di Vicenza.

Il 2 aprile Riccardo viene arruolato soldato di leva, matri­cola n. 28691. Il 3 dello stesso mese, chiamato alle armi, giun­ge al distretto militare di Vicenza e trattenuto in territorio dichiarato in stato di guerra. L’8 aprile viene assegnato al de­posito dell’11° rgt. fanteria, 13° compagnia a Forli, brigata Casale. Da Forlì passa a S. Mauro di Romagna e poi a S. Arcangelo di Romagna. Il 29 ottobre viene trasferito al 23° rgt. fanteria di marcia, poi nel 20°, diretto a Pisino d’Istria, dove arriverà dopo l’armistizio (4 novembre 1918). Il 31 gen­naio 1919 rientra dalle zone di guerra nel deposito dell’11° rgt. fanteria.

Congedato il 26 febbraio 1919 e rientrato in paese, ripren­de il lavoro di muratore presso il fratello maggiore Giovanni.

Il 1° dicembre 1919 è richiamato alle armi, distretto di Treviso, e il 12 dello stesso mese immesso nel deposito dell’11° rgt. fanteria di stanza a Forli. Il 29 dicembre, per sua richie­sta, è collocato nel reparto radiotelegrafisti e motoristi a Tivoli presso Roma, caserma Pantanella (un tempo pastificio). S’impegna nello studio e risulterà uno dei due promossi su venti allievi.

Il 10 aprile 1920, trasferito al rgt. radio telegrafisti del ge­nio con dispaccio ministeriale del 13 marzo 1920, parte per l’Albania, a disposizione del contingente militare italiano che presidiava quella terra. Presta servizio per un anno a Scutari, Durazzo, Vailona, trattenuto alle armi in base al R. D. n° 53 del 6 maggio 1920. Rientrato in Italia, è trasferito a Napoli (Posillipo), aggregato all’aviazione, ove funge anche da disegnatore. Da Napoli passa al campo di aviazione di Foggia. Il 18 ottobre 1921 viene mandato in congedo illimitato.

Il 24 giugno 1935 è «esentato dalla prestazione del servi­zio militare salvo in caso di mobilitazione generale quale reli­gioso vincolato di voti per attestazione della curia vescovile di Vicenza ed in applicazione del concordato con la Santa Sede reso esecutorio con la legge 21 marzo 1929, n° 810» (foglio matricolare).

Il 22 febbraio 1941, in piena seconda guerra mondiale, dal distretto militare di Treviso fra Claudio riceve l’ordine di presentarsi alle armi nella compagnia di sanità — ospedale mi­litare di Udine, via Pracchiuso, n° 14, per il giorno 28 febbra­io 1941. Ma il certificato medico del dott. Bruno Bruni, medico-chirurgo di Vittorio Veneto, in data 26 febbraio 1941, attesta che fra Claudio, causa il recente attacco di pleuro­polmonite destra, è inabile a qualsiasi servizio militare. A sua volta il «Comando distretto militare di Treviso», in data 28 febbraio, dispensa fra Claudio dal rispondere al richiamo delle armi anche per il motivo che si tratta di un religioso vincolato ai voti. Infine il 23 novembre 1945 viene «manda­to in congedo assoluto per proscioglimento dal servizio mili­tare a senso dell’art. 165 del T. U. delle disposizioni legislative sul reclutamento del R. E. e della circolare n. 12025/R».

Come si è comportato il soldato Riccardo Granzotto du­rante il lungo periodo del servizio militare? In modo irre­prensibile, come risulta dalla dichiarazione rilasciata dal distretto militare di Treviso.

 

 

3.    ACCADEMIA

 

Riccardo, fin dalla fanciullezza, sente una forte inclina­zione verso l’arte, soprattutto per la scultura. Suo diverti­mento preferito è il disegno; più tardi incomincia anche a modellare.

Congedato il 18 ottobre 1921, Riccardo si iscrive alla scuola serale d’arte e mestieri di Conegliano (192 1-1922), ove inse­gna lo scultore in legno prof. Vittorio Celotti: due ore di lezio­ne ogni sera. La copia a olio «VIII STAZIONE DELLA VIA CRUCIS » ottiene a Riccardo il primo lusinghiero riconoscimento artistico da parte dell’arch. prof. Domenico Rupolo: «Questo giovane ha mano di scultore; se l’intelletto seguirà la mano, sarà artista. Però bisogna che faccia l’Accademia »

Riccardo non perde tempo. Sorretto dalla famiglia, fre­quenta la scuola d’arte privata «Rinaldo-Contardo » di Vene­zia, facendo in un anno (1922-1923) due corsi corrispondenti ai primi due anni dell’odierno Liceo artistico. Superato l’esa­me si iscrive nell’anno scolastico 1923/24 al III corso comune dell’allora Istituto di belle arti, ottenendo alla fine dell’anno scolastico la promozione al IV anno con la votazione 96/130. Nell’anno scolastico 1924/25 frequenta regolarmente il IV anno del Liceo artistico e in base al R. D. 31 dicembre 1925 n° 3123 negli esami finali di classe, anziché quegli di passaggio, sostie­ne quelli di maturità artistica con il punteggio 31/50.

Dal 1925 al 1929 frequenta regolarmente la scuola di scul­tura dell’Accademia di belle arti riportando rispettivamente i seguenti punteggi: 9/10, 9/10, 9/10 (10/10, secondo un altro documento autografo, con il quale Riccardo chiede l’esen­zione delle tasse); alla fine del IV (1928-1929) ottiene la licenza dall’Accademia, corso di scultura, con la votazione 10/10.

All’inizio del II corso di scultura fa domanda alla presi­denza dell’Accademia di essere esentato dalle tasse avendo ottenuto all’esame finale del I corso il punteggio di 9/10, al-legando i documenti richiesti firmati rispettivamente dal vice podestà di S. Lucia di Piave, Luisetto che accerta la situazio­ne finanziaria della famiglia Granzotto e controfirmata dall’esattore delle imposte dirette di Conegliano. Otterrà l’esen­zione delle tasse per gli anni 1926-1929.

Come si è comportato all’Accademia? Così risponde un suo compagno di studi, il prof. Antonio Carestiato: « Ho fatto subito amicizia perché in lui ho trovato subito un ami­co dagli stessi ideali di vita cristiana e artistica. Era un ra­gazzo serio, ma più disinvolto di me. Io ero più timido di lui. Fra Claudio era profondamente onesto e sinceramente religioso. Il suo comportamento fu certamente ottimo; non ricordo alcuna lamentela sul suo conto. La sua giornata era: scuola, lavoro, casa. Non perdeva certamente tempo. Non gli sfuggiva nessuna parola sconveniente e, per questo, godeva la nostra stima »

 

 

4.    FRATE MINORE

 

 
Vocazione


 

Studente ancora all’Accademia, l’arte di Riccardo è apprez­zata. In particolare la scultura «L’anima e la sua veste» (1927), la famosa acquasantiera (1928) con il demonio costretto a sostenere la pila dell’acquasanta e sopra una Madonna in bron­zo, opera che viene richiesta per riproduzioni in altre chiese.

Neodiplomato in scultura all’Accademia di Venezia, vince nel 1929 il concorso indetto dalla provincia di Treviso per una statua destinata al foro Mussolini a Roma con la « Vola­ta », un atleta lanciatore di palla, scolpito da Riccardo in per­fetto stile classico.

Il successo che arride al giovane scultore è assai lusinghie­ro, sia in Italia che all’estero, nonostante l’amara vicenda del­la «Volata». Ma il prof. Granzotto comprende che tutto que­sto non può bastargli. Il bello e il bene sono un tutt’uno per lui. Medita, soffre, prega. Si iscrive nell’ottobre 1929 tra gli adoratori, come socio ordinario, nella regalità di Cristo. Trascorre notti intere dinanzi al Santissimo. Si sente sempre più orientato verso una scelta radicale di vita, quella consa­crata in qualche ordine religioso, lontano dal mondo e dalla sua mentalità, come comunica in alcune lettere del 1933 a cugini o amici.

La prima sua preferenza vocazionale è per i benedettini. Ma a mons. Morando, che seguiva spiritualmente il prof. Gran­zotto, l’abate di Montecassino, in data 30 luglio 1930, risponde che all’aspirante Granzotto Riccardo, facendosi benedettino, non viene assicurato l’esercizio dell’arte, come aveva chiesto.

Mons. Morando allora si rivolge all’abate della Certosa di Pavia che risponde: «Il nostro è un ordine di completa dedi­zione. Se il suo scultore si rassegna magari a fare il portinaio, come ora lo fa un avvocato di Parigi, venga pure, ma noi non gli possiamo assicurare se possa lavorare». La reazione di Riccardo è istintiva: «Ho proprio fatto tanti anni di Acca­demia per finire portinaio?».

La produzione artistica, intanto, non subisce soste: nel 1931 scolpisce i due leoni (cm 174 x 35) del protiro per l’arcipreta­le di S. Lucia di Piave: uno difende il vangelo, l’altro schiac­cia il serpente dell’eresia. Meno ancora subisce soste la sua ricerca vocazionale.

Nel gennaio 1932 Riccardo si iscrive all’opera della regali­tà di N. S. Gesù Cristo fra i «soci effettivi» e il 1° aprile 1932 alla « Associazione delle settimane eucaristiche », tessera n° 100856.

Nel marzo 1932 la svolta definitiva nella vita del prof. Riccardo Granzotto. Il p. Amadio Oliviero predica la quare­sima a S. Lucia, incontra per la prima volta il giovane artista. Viene a conoscere che aspira alla vita religiosa. Lo invita a visitare il convento di S. Francesco a Vittorio Veneto e a farsi francescano. Riccardo accetta di visitare il convento, come pure accetta di ritornare una o due volte al mese per dar lezione di disegno e di pittura a due chierici. Per il resto ci penserà.

Il p. Amadio scrive al ministro provinciale, p. Tito Castagna : «Ho trovato a S. Lucia di Piave, dove predicai il santo quaresimale un giovane buonissimo e bravissimo. Frequentò l’Accademia delle belle arti di Venezia. Ha già fatto qualche lavoro premiato con medaglia d’oro, vinto il concorso pel foro di Mussolini a Roma. Vuole ritirarsi dal mondo, entrare nell’ordine dei benedettini per dedicarsi totalmente all’arte. Fa la santa Comunione ogni mattina. Molto reverendo, potrei fargli la proposta di entrare nel nostro ordine assicurandolo che potrà continuare nella sua arte di scultore? Attendo risposta. p.  Amadio».

Il p. Tito, dopo qualche difficoltà, persuaso che il noviziato avrebbe indotto il Granzotto a mutare parere, non fa opposi­zione. E a Riccardo, incontrato a Vittorio Veneto, che gli chie­de «se facendomi frate francescano, potrò coltivare la mia arte che amo tanto», p. Tito risponde: «Ecco caro professore, quan­do uno domanda di farsi frate francescano deve essere dispo­sto a rinnegare se stesso, rinunciando a tutto per mettersi in mano all’obbedienza e far sempre quello che i superiori do­mandano o desiderano. Però quando s’è fatta l’obbedienza, i superiori permetteranno senza dubbio che uno scultore conti­nui la sua arte facendo qualche statua della Madonna, di san Francesco, di san Antonio, ecc; ma prima l’obbedienza». Ric­cardo risponde semplicemente: « Grazie, ho capito » e da quel momento diventa aspirante francescano, laico per libera scelta in umiltà di spirito, rinunciando a ogni proposta d’arte of­fertagli per non essere costretto a ritardare il suo ingresso in convento.

Ottenuti da mons. Morando i documenti e le informazioni richieste dal segretario provinciale p. Graziano De Nardi, superato da Riccardo l’esame come postulante e ottenuta la dichiarazione di idoneità all’ordine, il 7 dicembre 1933, a S. Francesco del Deserto, nella cappella dell’Immacolata, alle ore 15.30, il p. Camillo Nervo, delegato dal ministro pro­vinciale p. Tito Castagna, ammette alla vestizione dell’abito francescano, per il postulato dei laici, il prof. Riccardo Gran­zotto, testi: p. Stefano Rana e fra Felice Bellio. Il mese successivo, 25 gennaio 1934, il p. Nervo invia al ministro pro­vinciale la prima relazione: «Riccardo Granzotto fa bene, è contento e promette bene».

Dopo 4 mesi Riccardo deve lasciare il Deserto. Il p. Ippo­lito Guggia guardiano del convento della Pieve a Chiampo, ottiene dal vicario provinciale, p. Giulio Ferrari, che Riccardo si rechi a Chiampo a sovrintendere ai lavori per la costru­zione della grotta di Lourdes, lavori che lo impegneranno sino alla fine di settembre del 1935.

È indispensabile, tuttavia, per una buona riuscita della grot­ta che il Granzotto si rechi a Lourdes. Ottiene l’obbedienza dal delegato generale dell’ordine; il 22 maggio 1934 parte per Lourdes con il treno-ammalati.

A Chiampo Riccardo ha come maestro il p. Agostino Zan­donà che, in data 17 agosto 1934, invia ai superiori maggio­ri la seguente relazione: «Si dichiara che il postulante Riccar­do Granzotto da che è in questo convento ha tenuto una condotta veramente buona, è molto amante delle pratiche di pietà e compie bene i suoi doveri». Il 27 marzo 1935 viene inviata la seconda relazione: « Fra Riccardo Granzotto pio, la­borioso, ubbidiente, promette bene ».

Inaugurata la grotta, il 29 settembre 1935, Riccardo fa ri­torno al Deserto per iniziare l’anno canonico del noviziato. Prima di partire, in ginocchio davanti ai confratelli riuniti in refettorio, chiede loro preghiere.

Il 7 dicembre 1935, alle ore 18, il p. Stefano Rana, dele­gato del ministro provinciale e maestro dei novizi laici, am­mette al noviziato, come fratello laico, Riccardo Granzotto, imponendogli il nome di fra Claudio. Il 29 aprile si tiene la prima votazione canonica, il 17 agosto la seconda e 1’8 no­vembre 1936 la terza. L’esito è sempre favorevole all’unanimi­tà. Tre giorni prima, 5 novembre 1936, il p. Camillo Nervo, nuovo maestro dei novizi, stende la relazione finale del novi­ziato di fra Claudio.

 

Professione religiosa

 

Il 16 novembre 1936, al termine dell’anno di noviziato, fra Claudio fa domanda scritta al ministro provinciale di essere ammesso alla professione religiosa dei voti temporanei. La emetterà l’8 dicembre 1936, alle ore 8.15, assieme a fr. Martino Zan, David Corbanese e Mario Donà, nelle mani del p. Camillo Nervo, maestro dei novizi e delegato provin­ciale, testimoni fr. Felice Bellio e p. Stefano Rana. Nello stesso giorno il p. Camillo Nervo firma il quaderno del « Me­todo di vita » spirituale di fra Claudio, steso durante l’anno di noviziato.

Subito dopo Natale fra Claudio giunge al convento di S. Francesco in Vittorio Veneto (Treviso), a disposizione del mi­nistro provinciale fino alla morte, 15 agosto 1947.

Le relazioni del locale discretorio alla curia provinciale si susseguono durante tutto il periodo che precede la professio­ne solenne: 20 febbraio 1937, 11 giugno 1937, 28 luglio 1938, 18 gennaio 1939, 25 luglio 1939. Dopo questa re­lazione, in vista dell’ottima condotta di fra Claudio, il p. Ugo­lino Costan, a nome del discretorio conventuale, domanda al ministro provinciale di anticipare la data della professione so­lenne del Granzotto. La proposta non viene accolta perché potrebbe dare adito alle critiche degli altri aspiranti alla pro­fessione solenne. Il 15 dicembre, perciò, il delegato provin­ciale p. Teofilo Ferrari riceve la rinnovazione dei voti di fra Claudio.

Le quattro relazioni semestrali (1940-1941) che precedono la professione solenne non valutano più l’arte di fra Claudio; riprendono invece le voci: « salute e condotta esterna», « in­telligenza e diligenza». Compare modificata la valutazione del temperamento: non più sanguigno bensì flemmatico.

Su richiesta del ministro provinciale, p. Ignazio Beschin, il discretorio del convento di Vittorio Veneto, il 25 dello stes­so mese «tiene la votazione per la professione solenne di fra Claudio Granzotto»: tutti i voti sono favorevoli. Viene fis­sata la data: 16 gennaio 1941, domenica in cui si doveva inau­gurare il «Cristo morto», per assecondare il desiderio dello scultore. Per imprevisti, tutto dev’essere rimandato.

Il 17 novembre 1941 il discretorio esprime unanime ap­provazione perché fra Claudio emetta la professione solenne, come di fatto avverrà l’8 dicembre 1941, alle ore 9.30, nella chiesa conventuale di S. Francesco a Vittorio Veneto, nelle mani del p. Amadio Oliviero, delegato del ministro provincia­le, testimoni: p. Ferdinando Peruzzo e p. Doroteo Trivella­to maestro. La professione è preceduta dalla domanda del Granzotto al ministro provinciale, dalla rinuncia ai beni a norma del diritto canonico e delle costituzioni generali del­l’ordine e da un corso di esercizi spirituali a S. Francesco del Deserto.

 

Dalla professione solenne alla morte

 

Periodo di vita alquanto breve: dall’8 dicembre 1941 al­l’agosto 1947, ma intensissimo sia per la sua testimonianza di perfetto frate minore che per la sua competenza di artista molto apprezzato e richiesto dai suoi superiori per pregevoli opere, come si vedrà nel paragrafo dedicato all’argomento.

Frequenti, perciò, i suoi spostamenti da un luogo all’altro: Barbana (lavori murari al santuario), più volte a Zimella (grotta), Treviso (battistero), ripetutamente a Chiampo (monumento e statua di san Francesco per il Deserto e monu­mento di santa Bernardetta), Verona-Cimitero (per riparare le devastazioni della guerra), Verona-Domegliara (scelta del blocco di marmo per l’acquasantiera di Barbana), ancora a Treviso (per riparare i danni del bombardamento del venerdì santo 7 aprile 1944), Brognoligo, più volte (grotta), Barba­rano S. Pancrazio (tomba del p. Leonardo M. Bello). Lo troviamo impegnato, tuttavia, anche come questuante nel mar­zo e nel settembre del 1945.

Due avvenimenti dolorosi, a breve scadenza l’un dall’altro, nel 1946 portano fra Claudio a S. Lucia di Piave: il 17 gen­naio, la morte della mamma, Giovanna Scottà (92 anni di età), che egli può assistere nelle ultime ore, e la tragica fine del fratello Antonio (3 aprile), fatto questo che lascerà un segno profondo e amaro nell’animo di fra Claudio, preoc­cupato per l’anima del fratello. Ma mons. Morando, certo che Antonio non fosse compos sui quando compì il disperato ge­sto, chiede e ottiene dal vescovo di Vittorio Veneto, mons. Beccegato, di celebrare i funerali religiosi.

Il 14 aprile 1947 il dr. Giulio Salvadoretti, direttore del dispensano antitubercolare di Vittorio Veneto, esamina radio­logicamente fra Claudio; lo trova affetto da bronchite subacuta. Rimessosi dalla malattia, si impegna a portare a termine i lavori della grotta di Lourdes a Brognoligo tra la fine di maggio ai primi di luglio quando, sopraffatto da un male in­curabile, ritorna a Chiampo, dopo una breve sosta a Vicenza.

È assai deperito, barcollante nei movimenti. Il 3 agosto 1947 viene condotto all’ospedale di Arzignano. Sottoposto ad un accurato esame, il dr. Thiene diagnostica: fra Claudio è affetto da un tumore al cervello. Si consiglia l’immediato rico­vero a Padova, dove giunge il 6 agosto 1947. Visitato dal prof. Giambattista Belloni, specialista di malattie nervose e mentali, viene diagnosticato un « tumore cerebrale temporale destro».

Non essendovi posti letto liberi in clinica fra Claudio viene ospitato per due giorni nel convento di S. Francesco Grande in Padova. La mattina dell’8 agosto 1947 è ricoverato nella clinica neurochirurgica della quale è primario il prof. Bello­ni. Il 14 riceve l’unzione degli infermi e l’assoluzione gene­rale in preparazione della festa dell’Assunta. Muore alle ore 1.43 del 15 agosto, solennità dell’Assunzione di Maria al cie­lo, come da lui previsto anni prima.

I giorni 16, 17, 18 agosto sono dedicati al funerale rispetti­vamente nella chiesa di S. Francesco a Padova, a S. Lucia di Piave, a Vittorio Veneto. La salma viene tumulata nel cimi­tero cittadino, nella tomba dei frati minori.

Il 3 novembre 1930, sotto una pioggia incessante, la salma di fra Claudio viene esumata e, il giorno successivo, traspor­tata a Chiampo, provvisoriamente tumulata nella tomba del sign. Vespasiano Zanconato, ex podestà di Chiampo. Il 31 maggio 1951, espletate tutte le pratiche, è definitivamente inu­mata ai piedi della grotta di Lourdes, ove tuttora si trova e viene venerata.

Fra Claudio visse pochi anni da frate minore: 8 dicembre 1936, giorno della sua professione temporanea - 15 agosto 1947; da professo solenne soltanto sei e qualche mese: 8 di­cembre 1941 - 15 agosto 1947. Ma con quale intensità spiri­tuale li visse!

 

Verso la beatificazione

 

La fama di santità goduta da fra Claudio in vita e dopo la morte, la testimonianza di numerose grazie ottenute da devoti per la sua intercessione convincono i frati minori della provincia veneta di S. Antonio a impegnarsi nella raccolta della documentazione richiesta per l’avvio dei processi prescritti dalle norme del codice di diritto canonico di allora.

Il 16 dicembre 1959, il vescovo diocesano di Vittorio Ve­neto mons. Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, apre ufficialmente il processo informativo sulla fama di santità (ascoltati 54 testi tutti de visu), processo che ufficialmente verrà chiuso il 6 marzo 1961.

Il 16 febbraio dello stesso anno si chiude il processo sugli scritti. In pochi anni si ha l’adempimento dei seguenti atti: 23 marzo decreto di apertura dei processi; 21 novembre 1963 giu­dizio favorevole del primo censore teologo sugli scritti; 25 giu­gno 1965 la Congregazione romana delle cause dei santi conce­de al vescovo di Vicenza di aprire il processo su due presunti miracoli attribuiti all’intercessione di fra Claudio, processo che si chiude il 14 giugno 1966; 23 gennaio 1966 giudizio favore­vole del secondo censore teologo sugli scritti; 30 marzo 1967 decreto pontificio che riconosce gli scritti di fra Claudio immu­ni da ogni errore di dottrina o di morale; 10 febbraio 1978 il promotore generale della fede firma il Votum relativo all’intro­duzione della causa; 22 settembre 1978 il santo padre Giovan­ni Paolo I emana il decreto di introduzione della causa; 19 ottobre 1979 la Congregazione delle cc.ss. emana il decreto De non cultu; 14 dicembre 1979 la stessa Congregazione incarica il vescovo di Vittorio Veneto mons. Antonio Cunial di avviare il processo apostolico, aperto in seduta solenne il 20 aprile 1980 (ascoltati 52 testi tutti de visu, dei quali due giunti dall’estero: Antonio Fracasso dalla Francia, p. Paolino Cristofari ofm dal Guatemala) e chiuso l’8 dicembre 1981.

Il 10 ottobre 1980 mons. Onisto Arnoldo, vescovo di Vi­cenza, per incarico della Congregazione, esegue la ricognizio­ne canonica dei resti mortali del servo di Dio Claudio Gran­zotto: la salma, quasi del tutto intatta, il 10 febbraio 1982 è riposta in debita custodia e collocata nel precedente sarcofago ai piedi della grotta.

Il 9 febbraio 1988 si tiene il congresso peculiare dei con­sultori teologi sulla eroicità delle virtù. Il 5 luglio 1988 la congregazione ordinaria dei Padri cardinali, ponente della causa il card. Giuseppe Caprio. Il 7 settembre 1989 viene emesso il decreto sull’eroicità delle virtù; il 6 luglio 1993 il decreto di approvazione del miracolo.

Il 20 novembre 1994, solennità di Gesù Cristo re del­l’universo, nella basilica di S. Pietro a Roma, il sommo pon­tefice Giovanni Paolo II proclama Claudio Granzotto beato della Chiesa. Era presente, appositamente venuto dal Canada, anche il sign. Bruno Pozza, miracolato nel 1950 dal Granzotto.

La memoria liturgica, i cui testi sono approvati dalla Con­gregazione del culto divino in data 22 ottobre 1994, è inse­rita nel calendario proprio della provincia religiosa veneta, e celebrata il 2 settembre, giorno del battesimo di Riccardo.

«La sua santità rifulse soprattutto nell’accettazione delle sofferenze e della morte in unione alla croce di Cristo. E diventato così modello per i religiosi nella totale consacrazio­ne di sé all’amore del Signore, per gli artisti nella ricerca del­la bellezza di Dio, per gli ammalati nell’amorevole adesione al Crocifisso».

«La sua vita è stata una splendida testimonianza della ric­chezza e della gioia della vita consacrata. Dopo aver cercato Dio nel silenzio, nella preghiera e nella carità verso i poveri e gli ammalati, fra Claudio ha saputo esprimere attraverso l’arte di scultore la profondità del suo animo francescano, innamo­rato dell’infinita bellezza divina.

Ai giovani il beato Claudio indica l’impegno di ricercare la verità evangelica e di viverla con il suo stesso entusiasmo, trovando in Cristo l’ispirazione, l’energia ed il coraggio di annunciarla agli uomini del nostro tempo. Agli artisti suggeri­sce lo spirito di servizio, con cui proporre l’inesauribile mi­stero dell’incarnazione di Cristo attraverso il linguaggio del­l’arte. Agli infermi, infine, rivolge un messaggio di condivisio­ne e di speranza, invitandoli ad offrire le proprie sofferenze, in unione al Crocifisso, per il bene della Chiesa e del mondo.

L’esempio e l’intercessione di questo umile figlio di Fran­cesco d’Assisi incoraggi ciascuno a proseguire con fedeltà e costanza sulla via della santità, rispondendo generosamente all’universale chiamata alla santità e mettendo a frutto i doni ricevuti dal Signore».

 

 

5.    ARTISTA

 

Paragrafo, questo, indispensabile per completare il quadro dei dati biografici, ma soprattutto per conoscere e capire quan­to il Granzotto ha espresso, più che negli scritti, nelle sue opere, oltre che nella incisiva testimonianza di vita.

Le sue sculture, infatti, sono altrettanti capitoli di un libro la cui lettura ci fa ammirare, «oltre l’arte », la grandezza spi­rituale di fra Claudio, riflessa nelle sue opere d’arte.

Afferma il santo padre Giovanni Paolo II: « Claudio Gran­zotto si distinse per la capacità di cogliere la presenza di Dio nella bellezza e nell’arte, facendo della scultura un mezzo di evangelizzazione». «Autentico figlio del Poverello di Assisi, seppe esprimere la contemplazione dell’infinita bellezza divina nell’arte della scultura, di cui era maestro, rendendola stru­mento privilegiato di apostolato e di evangelizzazione ».

Il  primo censore teologo, a sua volta scrive: « fece dell’arte uno strumento di apostolato, convinto che ne sarebbe derivata grande lode a Dio. Sotto le sue mani si moltiplicarono i lavori a soggetto religioso», con i quali « egli ebbe ad espri­mere non soltanto il suo talento e la sua sensibilità artistica, ma la sua fede », perché la creatività artistica del Granzotto era in continua comunione di fede e di amore con Dio. E mentre scalpellava il marmo, fra Claudio chiedeva al Signore «di essere a sua volta scalpellato», per diventare un capola­voro di bontà.

Il fare scultura e il vivere religioso in lui si coniugano così armonicamente da consentirci di scorgere nelle sue opere i passi del suo cammino spirituale.

Studente all’Accademia, nel 1927 compone il ritratto detto « L’anima e la sua veste »: il volto è semplice pretesto per esprimere e raffigurare l’anima come immagine del divino in noi persone, umanità come « essere creato » da mano divina. «Ciò che poteva essere uno splendido esercizio di lavoro su marmo, è diventato un inspirato momento dell’iter critico-ar­tistico di fra Claudio ».

Ormai prossimo al diploma, nel 1928, don Morando, il suo parroco che ne ha scoperto il talento artistico e lo ha spinto a studiare, gli affida l’esecuzione dell’acquasantiera per la parroc­chiale di S. Lucia di Piave. E ancora studente e pertanto, pur nella accuratissima esecuzione, l’opera può sembrare imbrigliata fra accademismo e allegorismo per la complessa figurazione del demonio che sostiene con le spalle e le ali la grande luminosis­sima conchiglia dell’acqua benedetta, da cui emerge — perla preziosa — il bronzo dell’Immacolata di tipo ellenistico.

Il 1933, anno della redenzione e ultimo suo anno di vita laicale nel mondo, don Morando ancora gli commette la sta­tua della titolare santa Lucia: Riccardo Granzotto « inventa »questa immagine sull’antifona al « Benedictus » dell’ufficio pro­prio della santa: « columna es immobilis Lùcia ». L’allegoria cede il passo al simbolo, l’invenzione si libera e diventa immagine.

La sua santa Lucia « vede » il Signore con le vuote occhia­ie e apre lieta la bocca al cantico di lode in una sorte di statica fissità per la quale l’intera figura diviene memoria di colonna ionica e al tempo stesso di « kore » attica. Il dado dell’abaco su cui posa, reca in facciata, poco più che graffite, le didascalie del martirio: la palma della vittoria e, quasi in dissolvenza, il demonio sconfitto.

Postulante all’ordine francescano viene mandato a Chiam­po ove l’attende la riproduzione della grotta di Lourdes per il collegio serafico. Anche se per un artista la copia è sempre una limitazione, tuttavia sa come eseguirla. La sua esperienza muraria avanti l’Accademia riaffiora come talento funzionale. Rientra da Massabielle senza aver preso le misure perché la grotta, dice, « l’ha tutta in testa».

In un anno realizza questa immensa scultura con incessan­te lavoro di scalpello che fa ritornare il getto in cemento alla situazione primordiale di marna. La grotta finita rende l’am­biente lourdiano con tale verità da fargli dire: « Qui in molti verranno a pregare!».

Manca l’immagine dell’Immacolata. Questa sarà non la copia, ma la « sua » Immacolata tutta raccolta in essenziali pan­neggi nell’istante in cui dice: «Io sono l’Immacolata Concezione ». Qui, ancora una volta il Granzotto visualizza la parola, come già in santa Lucia e più tardi (1939) in s. Antonio morente a Vittorio Veneto.

Il 1933-36 è anno del suo noviziato a S. Francesco del Deserto; è il tempo della « ricerca del volto». Lo strumento preferito di tale ricerca sono le molte ore di adorazione al santissimo sacramento, immobile, inginocchiato dinanzi al ta­bernacolo, e «l’ora santa». Esegue il finissimo piccolo pri­mo volto sindonico. Nel 1941 riproduce il Gesù deposto sul lenzuolo a figura intera (altare dell’Addolorata a Vittorio Veneto). È questa una sindone resa tridimensionale. Il volto e tutto l’insieme rendono visiva l’antifona: « Caro mea requie­scet in Spe».  « Questa immagine non è una raffigurazione, non è una descrizione, non è un’evidenza naturalistica: è una vera icona: preghiera visualizzata ».

Finita l’opera, infatti, confesserà lo stesso fra Claudio: « Sono state più le ore di preghiera che i colpi di martello sul marmo ».

Da qui al trittico del volto di Gesù (1947), quello della Veronica rinserrato (non a caso) come in uno sportello di tabernacolo: a occhi aperti nel patire, chiusi nell’attesa (volto sindonico), riaperti nella risurrezione.

Non vi è stata commissione « esterna » bensì una lenta maturazione interiore: uno stato personale dell’artista che è stato di necessità di pregare. Il trittico è una preghiera di fra Claudio, è la sua icona. Ed è stato capace con la sua arte e la sua fede di comporre una sorta di salmodiale iconografia della salvezza tramite un « volto che è Incarnazione, Salvezza per tutto il popolo di Dio in cammino con Dio ... Questo trittico è davvero una unitaria preghiera solidificata nel mar­mo dal talento e dalla disciplina artistica dello scultore in Fede fratel Claudio. È un trittico come icona di preghiera».

Di questi tre volti rimane incompleto il primo, quello del­la passione, ancora in plastilina: la corona di spine manca della parte sulla fronte del Cristo. A fra Claudio il completar­la nella sua fronte con quel tumore che lo porterà alla morte il giorno dell’Assunta del 1947.

 
*tratto da: "Gli Scritti" Claudio Granzotto, edizione critica integrale a cura di Fabio Longo ofm, ed. LIEF, Vicenza 2002





















































































Casa natale di fra Claudio

Casa natale di fra Claudio
in via Granza n° 143
a S. Lucia di Piave












































































Golfo di Napoli
Golfo di Napoli
Acquerello eseguito a Napoli
da Riccardo Granzotto
durante il servizio di leva
1920



Posillipo
Posillipo
Acquerello eseguito a Napoli
da Riccardo Granzotto
durante il servizio di leva
1921

















































































































































































































































































fratelli Granzotto

Giovanni e Lodia Granzotto,
fratelli di fra Claudio



Mamma Granzotto

Giovanna Scottà,
mamma del Beato.
(quadro a carboncino cm 34x40)
Opera del 1921 del giovane Riccardo Granzotto




















Lapide

Lapide sulla casa natale del Beato